martedì 22 febbraio 2011

Fuoriclasse

La televisione non è il mio genere. E le fiction che danno sui nostri canali televisivi io di solito le chiamo "scemeggiati". Ma in questo caso farò un'eccezione.

Non perché Fuoriclasse sia meno "scemeggiato" degli altri, non perché io lo trovi meno buonista e meno semplificatorio, non perché pensi che ci troviamo di fronte a un lavoro che ha una dignità cinematografica.

Il fatto è che adoro la Litti, la Lucianina nazionale, l'unica cui ho osato nella mia vita chiedere un autografo (!) e in Fuoriclasse l'ho trovata perfettamente a suo agio, lei che all'inizio della sua vita lavorativa faceva appunto la professoressa.

Sarà anche che Michele (Lorenzo Vavassori), il figlio della professoressa che frequenta la stessa scuola della mamma, mi ha ricordato mio nipote (con i suoi occhiali da bravo ragazzo e la sottile peluria sulle labbra) e quella difficile età in cui si diventa grandi senza esserlo ancora.

Sarà che ho trovato la media degli attori stranamente ben scelta (ci sono nomi di tutto rispetto, da Neri Marcorè a Ninni Bruschetta, da Blas Roca Rey a Roberto Citran), soprattutto molto bravi e veri i ragazzi (Tiburzio, Ciarella, Ermir, Soratte, Frasca).

Sarà che da adolescente ho amato il libro Cuore e questa fiction mi è sembrata la rivisitazione in salsa contemporanea di quel libro.

Sarà che ho una carissima amica che fa la professoressa e che si chiama Isa, proprio come il personaggio interpretato dalla Littizzetto, e mi è sembrato di vedere rappresentate sullo schermo le storie che mi racconta.

Insomma, sarà un mix di fattori, ma Fuoriclasse mi ha tenuta incollata allo schermo televisivo fino all'ultima puntata.

Isa Passamaglia (il cui nome mi ricorda una mia professoressa del liceo non altrettanto divertente) è la professoressa di italiano che tutti avremmo voluto avere, che ci racconta la scuola di oggi in modo sì un po' edulcorato ma per tanti versi universale e sincero. Gli studenti di oggi, ma anche quelli di ieri, credo che possano riconoscere nel fantomatico liceo Caravaggio di Torino - dove si svolge la fiction - pezzi del loro passato e presente scolastico, delle emozioni, delle dinamiche, delle bellezze e delle bruttezze che appartengono a quel mondo.

E tutto quel chiamarsi per cognome suscita una tenerezza cui è difficile rimanere indifferenti. Certo è pur sempre televisione, con tutti i suoi limiti di sceneggiatura e quella inevitabile mancanza di complessità che sembra ormai quasi obbligatorio propinare al grande pubblico.

Ma in questo caso la semplicità non è - come sempre più spesso accade in televisione - banalità e assenza di contenuti, bensì è la capacità di dialogare direttamente e costruttivamente col quotidiano.

Brava - ancora una volta - la piccola, grande Luciana!

Voto: 4/5

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