lunedì 12 settembre 2011

Tramonti e sardine, ovvero Del mare di Saffo - Seconda parte

Tempo di lasciare il nord dell’isola per muoversi verso sud-ovest. Ci aspetta una parte di isola che non è verde come quella orientale (coperta di pini e ulivi), bensì caratterizzata da una vegetazione simile a quella della tundra, con montagne alte e gole profonde, per attraversare le quali le strade sono - se possibile - ancora più impervie di quelle percorse nei giorni precedenti. È un paesaggio inquietante e affascinante allo stesso tempo, che solo dopo qualche giorno ci diverrà familiare.

Ma eccoci ad Eressos (oggi Skala Eressos, perché Eressos è il paese nell’interno), città natale di Saffo, nostra quarta tappa. Cerchiamo posto in un complesso fuori dal centro di proprietà di due simpatici americani (lui ci offre una birra e ci spiega la geografia fisica degli Stati Uniti, mentre lei sta tentando di fare dei barattoli di salsa di pomodoro!). Purtroppo non hanno posto e ci indirizzano da una loro amica che affitta delle stanze in una casa nel centro del paese.

La casetta con la sua scaletta bianca è una rivisitazione tedesca (un po’ Ikea) di una tipica abitazione greca, e, ad eccezione della prima notte, per il resto della permanenza ce l’abbiamo tutta per noi. Sarà difficile dimenticare le colazioni nella cucina con le pareti verde-acido, dove a volte bisognava fare i conti con api e gatti un po’ invadenti (a dire la verità i gatti e la loro invadenza sono una costante in tutta l’isola, soprattutto quando vi sedete al ristorante e ordinate delle sardine).

Peccato che la notte un po’ di casino della “movida” del lungomare si senta, che la domenica mattina alle 8 suonino le campane della vicina chiesa e che Skala Eressos sia piena di venditori ambulanti che girano per le strade pubblicizzando i loro prodotti con i megafoni!

Il lungomare di Skala Eressos è una scoperta continua: da una parte la scogliera, la chiesetta, il porticciolo, poi la lunga sequenza di bar, taverne, ristoranti con le loro verande in legno che si allungano come delle palafitte sulla spiaggia, poi gli ombrelloni, poi la lunghissima spiaggia libera (sabbiosa). Famiglie con bambini, coppie di donne, nonni e nipoti, gruppi di adolescenti convivono vivacemente e felicemente in questo microcosmo.

Le ore centrali della giornata sono affrontabili solo in acqua o all’ombra della tettoia di una taverna. Molti arrivano in spiaggia verso le 18 quando l’acqua diventa come l’olio, il sole comincia a calare e ci si può godere un tramonto che illumina la roccia che si eleva di fronte alla baia di Eressos (la stessa che la sera è illuminata da un apposito faro, che si finge luna!). È a quell'ora che arriva una famigliola con catamarano giocattolo, fatto di bottiglie di plastica, bastoncini di bamboo e vele di stoffa riciclata, tenuta al guinzaglio come un aquilone dell'acqua. Ci incantiamo a guardare il bimbetto che nuota con il suo catamarano e guarda orgoglioso il suo papà che gliel'ha costruito!

Da Eressos è d’obbligo una visitina all’estremità occidentale dell’isola, Sigri, che raggiungiamo dalla strada sterrata di 12 km che passa in un paesaggio quasi lunare, in cui non c’è traccia umana, se non quelle che i pastori hanno utilizzato per delimitare i rispettivi territori. Ogni tanto lo sguardo si apre su una costa fatta di baie e insenature in molti casi raggiungibili solo a piedi.

Sigri ha una bella spiaggia, in cui gli alberi offrono refrigerio dal caldo agostano, ma il paese – gradevole – a tratti appare come una città fantasma. La vista è dominata dai resti del castello turco e – purtroppo – da una nave militare, il cui rumore spesso copre quello del mare. Del resto, di presenza militare a Lesvos se ne vede parecchia, segnale di una terra di confine che è stata a lungo contesa tra Grecia e Turchia.

Durante la nostra permanenza in questa parte dell’isola tenteremo di mangiare un giros pita, ma quando ci arriva una salsiccia di carne mista che la cameriera chiama kebab ci rendiamo definitivamente conto che in Grecia è molto difficile prevedere esattamente cosa si sta ordinando! (ma il saganaki cos’è? Qualcuno me lo sa spiegare esattamente?).

Delle taverne di Eressos vorrei menzionare solo Blue Sardine e il suo proprietario Kostas, che ci ha permesso di goderci alcuni dei migliori aperitivi della vacanza: olive, sardine o acciughe fritte, insalata greca e ouzo.

È ora di tornare verso Mytilene per restituire la macchina. Prima però vogliamo fare una puntatina alla foresta pietrificata vicino Sigri. Si tratta di un’area estesa per svariati ettari in mezzo alle montagne dove è stato realizzato una specie di museo all’aperto, dopo che prima casualmente e poi a seguito di specifici scavi sono venuti alla luce resti fossili di una foresta che copriva questa parte dell’isola milioni di anni fa e che a più riprese è stata completamente ricoperta dalle eruzioni vulcaniche. Questo ha fatto sì che i tronchi degli alberi si conservassero praticamente intatti per tutto questo tempo, in parte mantenendo la conformazione legnosa in parte trasformandosi in rocce che portano impressi i segni dei millenni trascorsi. Sotto il sole a picco dell’ora di pranzo, vi assicuro che si è trattato di un’esperienza assolutamente affascinante.

Seconda tappa lungo la strada verso Mytilene Xidera, un paesino nel mezzo dell’isola cui si arriva da una strada che finisce lì e dove nessuno parla inglese. Parcheggiamo nella piazza, dominata da un grande platano. Un gruppo di vecchietti chiacchiera di fronte a una (o più) bottiglie di ouzo, delle vecchiette vestite di nero attraversano la strada, una famigliola greca mangia ad un tavolo all’aperto.

Dobbiamo assolutamente fare l’esperienza di mangiare qui… Ci sediamo a un tavolo dove arriva a servirci un ragazzino. Non si sa come ci capiamo sul fatto che noi vogliamo mangiare ma loro non possono cucinare, possono solo darci qualcosa di preparato o di freddo. Un vecchietto alle nostre spalle fa eco al ragazzino e ci dice “feta”, “salada” e qualcosa del genere. Noi annuiamo.
Il ragazzino fa il giro della piazza per chiedere se qualcuno sa l’inglese, ma nessuno ne sa mezza. Comunque in qualche modo ci arrivano sul tavolo una fetta di feta, una bottiglia di ouzo, un’insalata greca e un piatto di okra nel sugo di pomodoro. Il pranzo più buono dei 15 giorni di vacanza!


Il conto è di 12 euro (!!!); dò al giovane cameriere 15 e quando mi porta 3 euro di resto gli dico di tenerli. Lui va con la mano aperta dal vecchietto che sta all’interno del locale (forse il nonno, quello che ci aveva assicurato che tra feta e salada qualcosa avremmo mangiato) per mostrarglieli e quello compiaciuto annuisce con la testa. Poi il vecchietto mi chiede se veniamo dalla Spagna, io dico “no, Italia” e lui immancabilmente aggiunge “Ah, Italiani, una faccia, una razza!”. E in greco mi dice che è stato a Venezia come turista molti anni fa. Bella! Come ho fatto a capirlo? Mah, forse perché “gondola” si dice uguale in tutto il mondo…

Ce ne andiamo felici, perché sappiamo di aver dato all’intero paese da parlare per settimane e settimane. E in fondo questo era esattamente il nostro scopo ;-)
Eccoci di ritorno a Mytilene. Il giovedì ci aspetta un’escursione nella vicina Turchia (ma di questo vi parlerò in separata sede) e gli ultimi due intensi giorni in isola prima della partenza. Dopo aver preso una sòla dal nostro autonoleggio (avevamo prenotato una macchina, ma gli dispiace, loro non ce l’hanno disponibile…), per fortuna ne troviamo un altro, Best (che C. pensa sia un autonoleggio internazionale e invece esiste solo in quest’isola), che alla fine si rivela il più economico e con il servizio migliore. Eccoci di nuovo con una Hyundai Getz, questa volta azzurra.

Ci hanno detto che non possiamo perdere la spiaggia di Agios Isidoros, vicino Plomari. Del resto, in questi giorni abbiamo acquisito una vera esperienza di ouzo e possiamo dire che a parte il Kefi di Mitilene, i migliori sono quelli di Plomari, in particolare secondo noi il Varvagianni verde (quello da 40°, di cui ci siamo portati una bottiglia da un litro in Italia), e quindi non possiamo esimerci da una visita alla capitale mondiale dell’ouzo.


Dopo un po’ di vicissitudini nella ricerca dell'alloggio, troviamo un alberghetto bellissimo che affaccia direttamente sulla spiaggia di Agios Isidoros. La notte ci accompagnano le infinite stelle del cielo estivo (e l’affascinante via lattea) e il rumore delle onde sui ciottoli. Il giorno ci godiamo l’ultimo sole greco e la meraviglia di un mare che non smette di sorprenderci.

Poi tornate nel capoluogo, scopriamo l’antico porto della città e la taverna “O Ermes”, e così finirà per piacerci anche Mytilene. Proprio qui riusciremo a vedere alla fine anche un’alba sul mare. Quella della mattina della partenza in aereo per l’Italia, dal nostro albergo sulla strada per l’aeroporto.

Le sei ore di scalo ad Atene ci consentono una breve escursione in città. La nostra meta è la zona di Gakzi (zona industriale riqualificata dominata da un grande gazometro, uno dei tanti della mia vita!), dove effettivamente i giovani alternativi ateniesi si danno appuntamento per un freddoccino di tarda mattinata o di primo pomeriggio e per la movida notturna.

Peccato che la strada per arrivarci ci mostra tutto lo squallore di una città brutta, che per molti versi sembra ferma agli aspetti deteriori degli anni ’80, ora forse acuiti dalla crisi economica. E capiamo perché i greci, per gran parte costretti ad abitare ad Atene per lavoro, non perdono occasione per tornare nelle loro amatissime e bellissime isole.

E così mentre l’aereo (zeppo di italiani urlanti provenienti da Mykonos e dintorni) decolla per riportarci in Italia, il nostro è un arrivederci alla Grecia più autentica.

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