lunedì 7 novembre 2011

La kryptonite nella borsa

Quello di Ivan Cotroneo non è certamente un nome nuovo. Personalmente lo associo al romanzo Cronaca di un disamore che avevo letto un po’ di anni fa a seguito della fine di una storia e che avevo trovato bello, anche se un pochino deprimente, ma anche alle numerose sceneggiature firmate per importanti film di importanti registi italiani, non ultima quella di Mine vaganti di Ferzan Ozpetek.

Con La kryptonite nella borsa Cotroneo fa il salto dalla storia scritta a quella raccontata per immagini e si cimenta – con ottimi risultati – dietro la macchina da presa, sostenuto da una sceneggiatura scritta da lui stesso e da un gruppo di lavoro di grande qualità e mestiere: dal cast formato da attori quali Luca Zingaretti, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Cristiana Capotondi e Libero De Rienzo, a un direttore della fotografia del calibro di Luca Bigazzi (che ha dato poco firmato anche il film di Sorrentino) a una colonna sonora sempre accattivante come è quella degli anni ’70.

Non so se ci sia qualcosa di autobiografico nella storia raccontata in questo film, certo è che Cotroneo è nato negli anni ’60 a Napoli, esattamente come Peppino, il protagonista del film (magnificamente interpretato da Luigi Catani), e dunque conosce molto bene il contesto che racconta. Non è nuova per Cotroneo neppure l’idea di raccontare la storia di un personaggio che - a suo modo - è diverso dal contesto che lo circonda e che dovrà trovare la forza e la consapevolezza di sé per andare per la sua strada.

In questo caso si tratta di Peppino, nato nel 1964 a Napoli in una famiglia che non si fa fatica a definire disfunzionale. Della vita di Peppino ci viene raccontato il 1973, anno in cui lui, capellone, grossi occhiali da miope, preso in giro dai suoi compagni di classe, si trova a fare i conti con un momento familiare difficile. Sua madre Rosaria (una dolente Valeria Golino) scopre che suo marito (uno straordinario Luca Zingaretti) la tradisce con la figlia della tabaccaia nella Seicento familiare che usa per andare a lavorare nel negozio di macchine da cucire, e cade in depressione, trascorrendo intere giornate a letto. Gli equilibri familiari già piuttosto precari vengono ulteriormente messi in discussione.
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E così Peppino trascorre di volta in volta le sue giornate con suo padre che un po’ goffamente tenta di svolgere un ruolo rispetto al quale non si sente del tutto all’altezza, con i suoi nonni, un po’ duri e autoritari e, soprattutto, molto presenti in questa famiglia allargata, con i suoi due zii “scapoli” (Titina, interpretata da Cristiana Capotondi, e Salvatore, molto ben rappresentato da Libero De Rienzo) che trascorrono le giornate tra discoteche, collettivi femministi, musica, festivi dalle fantasie e dai colori optical, esperienze sessuali e acidi, e infine con Assunta (la collega di lavoro di Rosaria, interpretata da Monica Nappo) che viene da una famiglia poverissima e che è ossessionata dalla ricerca di un fidanzato.

Su tutto volteggia (e il termine non è casuale) il cugino Gennaro (Vincenzo Nemolato), un ragazzo ritardato che va in giro vestito – ma con i colori un po’ slavati - da Superman (ed è convinto che il suo punto debole - come per il supereroe - sia la kryptonite). Gennaro/Superman muore sotto un autobus, ma Peppino lo adotta come guida spirituale nei suoi sogni ad occhi aperti e con lui prenderà il volo dalla sua infanzia.

Definirei quella di Cotroneo una “commedia malinconica”, in cui si ride e si sorride, ma in fondo al cuore resta una certa qual tristezza mista a nostalgia. La nostalgia di un mondo passato, riletto in maniera creativa più che documentaristica, un mondo in fondo più essenziale di quello di oggi, con codici più facilmente leggibili; la tristezza di constatare che alcune dinamiche umane sono senza tempo e di condividere la sensazione di spaesamento di Peppino in questo mondo di adulti incerti, insoddisfatti, infantili a loro volta.

Cotroneo dimostra di essere bravo a tenere insieme tutti i pezzi di questa storia composita mantenendo un apprezzabile senso della misura, salvo nella invadente voce fuoricampo iniziale (che – come dice Mereghetti – per fortuna, ma anche incongruamente scompare dopo i primi minuti). Va detto però che la parte più riuscita del film è forse proprio quella eccessiva e un po’ sopra le righe, rappresentata dal mondo degli zii Titina e Salvatore, mentre lì dove la rappresentazione si fa più contenuta e – per quanto possibile – più realistica risulta insoddisfacente perché ci si aspetterebbe una maggiore profondità di analisi e, invece, anche su questo fronte si rimane in qualche modo sulla superficie.

In due parole, un debutto dietro la macchina da presa gradevole e cinematograficamente corretto quello di Cotroneo. Non un capolavoro, ma questo dovrebbe lasciargli aperte più possibilità per le sue prossime prove.

E poi il fidanzato di Assunta mi ricordava troppo mio padre nelle fotografie da giovane!

Voto: 3/5

2 commenti:

  1. Cara Anna...condivido in pieno la tua recensione: aggiungerei solo le esilaranti lezioni di spietata avicoltura (da denuncia alla LIPU!) di Zingaretti e le sue millantate cene prelibate a base di fettine di carne al figlio...della serie: how many things must a father know well, before you can call him dad!

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  2. Ciao Davide! Hai ragione, la dinamica padre-figlio è forse una delle parti migliori del film...

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