martedì 17 gennaio 2012

Almanya: La mia famiglia va in Germania

Mescolate East is East con Little Miss Sunshine e avrete un’idea di Almanya, il cui sottotitolo in italiano è diventato La mia famiglia va in Germania forse perché la traduzione, dell’originale Benvenuti in Germania, sarebbe risultato inflazionato dopo il proliferare di film come Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord.

Di East is East ha il tema di fondo: il rapporto degli immigrati di generazioni diverse con la patria d’origine e quella acquisita. Di Little Miss Sunshine rispolvera il tema della famiglia allargata e delle sue dinamiche disfunzionali, in particolare insiste sul rapporto tra una meravigliosa figura di nonno e i suoi nipoti, in particolare il più piccolo, che è in un certo senso il depositario del suo spirito.

Almanya
parla infatti della storia di Hüseyin Yilmaz (interpretato da Vedat Erincin da anziano e Fahri Ogün Yardim da giovane), un turco dell’Anatolia, che dopo aver sposato Fatma contro la volontà dei genitori di lei, per garantire alla moglie e ai suoi tre figli (due maschi e una femmina) un’esistenza dignitosa si trasferisce a lavorare in Germania (negli anni Cinquanta). Dopo qualche anno l’intera famiglia lo raggiunge in Germania e lì nasce un quarto figlio. Passano quarant’anni in cui i figli diventano grandi e si fanno le loro famiglie, mescolandosi con i tedeschi ed abituandosi sempre di più alla vita e alla cultura tedesche.

Hüseyin è ormai anziano. Ha il passaporto tedesco, come da tempo desidera sua moglie, e una famiglia allargata molto bella, in cui ai figli si sono aggiunti i nipoti, in particolare Canan (Aylin Tezel), la figlia di sua figlia in età universitaria (incinta di un ragazzo inglese), e Cenk (Rafael Koussouris), il figlio di suo figlio più piccolo, che ha non più di 7-8 anni, frequenta la scuola elementare e soffre del fatto che nella cartina che ha in classe l’Anatolia non c’è, perché i confini dell’Europa arrivano solo fino a Istanbul.

Il desiderio più grande di Hüseyin a questo punto della vita è di tornare in Anatolia, dove ha comprato una piccola casa. Così, organizza un viaggio che li porterà a Istanbul e di lì, con un pulmino, nel loro paese natio.

In questa famiglia di immigrati turchi ci sono almeno tre diverse generazioni.
I nonni che pur vivendo in Germania non hanno mai davvero perso il legame con le loro abitudini e la loro cultura d’origine e in qualche modo si sono sempre sentiti ospiti in Germania, i figli (in particolare i tre più grandi nati in Turchia) hanno vissuto tutte le difficoltà di essere la generazione di mezzo, né turchi né tedeschi, privi di veri riferimenti culturali , sospesi tra il passato e il presente; i nipoti sono tedeschi in tutto e per tutto, stanno perdendo anche la conoscenza della lingua di origine, eppure la consapevolezza di essere altro dai tedeschi rimane forte.

Almanya è un film leggero e malinconico, a tratti un po’ favolistico e surreale, in cui la rappresentazione del presente e del passato è distorta dal racconto che ne fa la nipote più grande (e che è certamente il risultato di una specie di tradizione orale) e dallo sguardo sproporzionato di Cenk.

Per tutti questi motivi, il film non si può certo definire realistico. Non si parla veramente di immigrazione e dei suoi problemi. Non si accenna minimamente alla difficile integrazione tra culture. I turchi sono sognatori e gran lavoratori, i tedeschi sono accoglienti e pieni di gratitudine.

Il tutto però riesce ad essere incredibilmente empatico, al punto che bisogna essere molto cinici per non farsi spuntare una lacrimuccia. In fondo si può dire che Almanya non è un film sull’immigrazione, bensì sul rapporto con le proprie origini. Perché chiunque abbia sperimentato l’allontanamento dal luogo dove è nato o da cui proviene la sua famiglia conosce perfettamente questo sentimento indefinito che è – allo stesso tempo - un legame indissolubile, un senso di spaesamento, un’appartenenza multipla, il bisogno della ricerca di un’identità, un rifiuto e un’attrazione difficili da governare. E soprattutto impara a capire la relatività delle proprie convinzioni e dei propri gusti, spesso risultato di situazioni contingenti piuttosto che di condizioni assolute e predeterminate.

Voto: 3,5/5


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