martedì 17 aprile 2012

Romanzo di una strage

Per una che è nata nel 1973 e si è affacciata all'età della ragione in pieni anni Ottanta in un piccolo paesino di provincia dell'Italia meridionale dove della politica e delle ideologie arrivavano solo echi lontani, l'epoca raccontata in Romanzo di una strage appare da un lato estranea - o forse sarebbe meglio dire incomprensibile - ma allo stesso tempo affascinante come tutto ciò che è al di fuori dei confini dell'esperienza personale.

Per quanto mi riguarda mi riesce difficile se non impossibile figurarmi un clima politico e sociale con una partecipazione così accanita, e mi confondono la varietà e complessità dei movimenti politici che operavano all'interno del tessuto sociale italiano. Ma soprattutto la cosa per me più incomprensibile è quella vera e propria ossessione dell'invasione comunista che in quegli anni la guerra fredda aveva alimentato a livelli talmente esasperati da creare un clima di sospetto e di tensione quasi insostenibile (e che in qualche modo mi ricorda vicende più recenti).

Negli anni Sessanta-Settanta la fine della guerra e del fascismo non sembrano vicende passate da più di vent'anni, ma una specie di ferita aperta nella società italiana.

Gli attori in campo sono numerosi (anarchici, neofascisti, militari, servizi segreti, NATO, sinistra extraparlamentare) e i confini tra i diversi gruppi non sono affatto nitidi. C'è chi è mosso dalle idee, chi dalla passione politica, chi da progetti eversivi e chi approfitta di tutto questo per ricavarne un vantaggio economico o accreditarsi in un senso o in un altro.

Non è dunque strano che in un lasso di tempo tutto sommato breve com'è quello raccontato in Romanzo di una strage (dall'autunno caldo del 1969 all'uccisione di Calabresi nel 1972) sono numerosi gli eventi che hanno sconvolto la vita del nostro paese e gli episodi che a distanza di quarant'anni restano ancora oscuri: dalla bomba esplosa alla Banca Nazionale dell'Agricoltura alla morte dell'anarchico Pinelli, dalla morte dell'editore Giangiacomo Feltrinelli all'assassinio dello stesso commissario Calabresi.

Il film di Marco Tullio Giordana - strizzando l'occhio a Pasolini e a Romanzo criminale - si dichiara intelligentemente Romanzo perché è certo difficile pretendere di esprimere verità storiche su una vicenda su cui si sono versati fiumi di inchiostro senza che si sia mai trovata convergenza su una ipotesi.

Non a caso il film di Giordana ha alimentato nuovamente il dibattito, in quanto citando alcune ricostruzioni proposte da Paolo Cucchiarelli ne Il segreto di piazza Fontana - in particolare quella della doppia bomba - ha immediatamente determinato la reazione di molti, in primis Adriano Sofri che ha pubblicato un instant book in cui contesta tale ipotesi portando una serie di argomentazioni.

Ovviamente sono l'ultima persona al mondo che può esprimersi sulla verità storica non conoscendo affatto la documentazione che altri hanno approfonditamente studiato. Chissà poi se si tratta di una verità che qualcuno conosce veramente e in tutte le sue sfaccettature.

L'aspetto romanzesco del film sta inoltre in una rappresentazione sì rigorosa dei personaggi, ma anche volutamente addolcita. L'intera vicenda viene fatta ruotare intorno a tre personaggi disegnati in maniera positiva: Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino), l'anarchico buono che finisce vittima di una vicenda incomprensibile, Luigi Calabresi (il sempre bravo Valerio Mastandrea) un poliziotto sui generis, vittima anche lui del sistema, Aldo Moro (il camaleontico Fabrizio Gifuni), politico timorato di Dio e preoccupato della deriva del proprio paese.

Probabilmente le cose non stavano esattamente così, perché luci e ombre sono parte costitutiva dell'umanità. A questi tre personaggi però il regista ci consente di aggrapparci per non sprofondare nell'abisso di un periodo storico nerissimo per il nostro paese.

Cinematograficamente e scenograficamente il film è molto bello e fa uno sforzo - sostanzialmente riuscito - per sintetizzare una vicenda complessa che ha molti percorsi paralleli e numerosissimi protagonisti. Gli attori sono il meglio che il panorama italiano potesse offrire.

All'Italia di oggi - che, come dice Sofri, ha un'età media di poco più di 43 anni - un film così serve per riaprire una pagina difficile della storia del nostro paese da una distanza forse sufficiente per analizzarla.
Oggi le sfide sono globali, ma l'umanità è sempre la stessa.

L'auspicio è che si possa evitare di ripetere in forme e modi diversi le medesime ossessioni, di riprodurre gli stessi giochi di potere, di rivivere lo stesso senso di frustrazione.

Chissà se è davvero possibile. Certo sarebbe bello.

Voto: 3,5/5

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