domenica 22 dicembre 2013

Il desiderio di essere come tutti / Francesco Piccolo


Il desiderio di essere come tutti / Francesco Piccolo. Torino: Einaudi, 2013.

Quello di Francesco Piccolo è un libro difficilmente classificabile. Non è un romanzo in senso stretto, non è propriamente un saggio, non è neppure un’autobiografia. È qualcosa di nuovo e originale, un racconto della sinistra italiana negli ultimi quarant’anni, visti attraverso la personale lente di uno che ha vissuto la propria infanzia e giovinezza a Caserta, è diventato comunista durante una partita di calcio, ha creduto nel sogno berlingueriano, poi si è ritrovato a Roma nel ventennio berlusconiano e ha deciso di fare i conti con l’eredità che la sinistra ha lasciato all’Italia.

La prima metà del libro - che si intitola “La vita pura: io e Berlinguer” - è dal mio punto di vista quella più bella ed emozionante. Autoironica, poetica, ispirata. Ci racconta un pezzo della storia personale dell’autore e il suo intrecciarsi con le vicende piccole e grandi del nostro paese: l’epidemia di colera, il terremoto in Campania, la politica di Berlinguer, il tentativo del compromesso storico, il rapimento di Moro e il suo assassinio, la fine delle prospettive di governo della sinistra, l’ascesa di Craxi. Questi sono per l’autore gli anni della formazione come persona e come cittadino, gli anni in cui nella vita di ciascuno si formano le convinzioni, ci si interroga su chi siamo e cosa vogliamo fare di noi stessi, si fanno i conti con la propria inadeguatezza, si confrontano le idealità e le nostre effettive possibilità. Questi sono però anche gli anni in cui anche l’Italia si è guardata allo specchio per decidere in quale direzione andare e la sinistra italiana ha provato a diventare adulta e matura, senza però riuscirci a causa delle contingenze più o meno fortuite che ne hanno investito il percorso.

La seconda parte del libro – che va sotto il titolo “La vita impura: io e Berlusconi – racconta l’età adulta dell’autore che - dopo essere passata attraverso l’allontanamento dalle origini e l’adesione a un modello sociale e culturale solo apparentemente conseguente alla propria storia precedente – approda alla consapevolezza del proprio fallimento ideale e del tradimento dell’etica della responsabilità, che anche in questo caso coincidono con il fallimento di un’intera classe politica e con il tradimento delle promesse di una sinistra che si è fatta sempre più snob e autoreferenziale, lasciando campo aperto a Berlusconi e abbandonando il paese a se stesso.

Nelle pagine di Piccolo è facile riconoscersi, non tanto nelle vicende che racconta e che appartengono a una specifica generazione, quanto nel modo di essere cittadini di questo paese. Francesco Piccolo ci chiama tutti a raccolta, ci mette in discussione, ci costringe a fare autocritica, ci costringe a guardarci allo specchio e a chiederci “ma noi cosa abbiamo fatto per impedire che tutto ciò accadesse?”.

Personalmente non so se le conclusioni dell’autore mi convincono, anzi direi che non mi convincono: forse mi manca il suo incrollabile ottimismo sul fatto che esista una possibilità e che questa possibilità possa essere perseguita per il bene della nostra comunità civile; anzi, dirò di più, a tratti i suoi richiami mi paiono velleitari e per certi versi pericolosi ad una lettura semplicistica.

Però condivido l’urgenza da cui sembra nascere questo libro, ossia ripartire da noi stessi, ciascuno di noi, per comprendere il presente di questo paese e accettare che la sua identità non riguarda solo “gli altri”, perché nessuno può chiamarsi fuori ed ognuno deve riconoscersi la propria parte di responsabilità.

Voto: 3,5/5

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