martedì 18 febbraio 2014

Tango libre

Il film di Frédèric Fonteyne (di cui avevo visto a suo tempo l'interessante Una relazione privata) non manca certamente del dono dell'originalità, innanzitutto per la mescolanza di generi che rende non semplice la sua classificazione, decisamente a metà strada tra dramma e commedia. In secondo luogo per la scelta di mettere insieme due mondi apparentemente molto lontani, la prigione e il tango.

Tutta la storia ruota intorno alla figura di Alice (Anne Paulicevich, che è anche la sceneggiatrice del film), una donna che non si può definire bella in senso stretto, ma che è certamente dotata di una straordinaria sensualità, unica modalità di comunicazione con la quale è in grado di relazionarsi con il mondo circostante, in particolare con gli uomini della sua vita: suo marito Fernand (Sergi López), l'amante Dominic (Jan Hammenecker), il figlio Antonio (Zacharie Chasseriaud) e la guardia giurata JC (François Damiens). Questo intreccio di sentimenti, nonché la profonda diversità dei caratteri di questi personaggi trovano la propria espressione nella forza e nella sensualità del tango, che è fatto appunto di seduzione, di conflitto e di dominio e che - una volta abbracciato nella sua natura più profonda - incarna l'idea stessa della libertà.

Ne viene fuori un film esteticamente molto bello: gli sguardi del regista sugli interni delle case (con le loro improbabili carte da parati e l'uso sapiente di luci naturali e artificiali) sono commoventi, così come le scene collettive di tango nel carcere sono potenti ed emozionanti al contempo.

Durante il film si riesce a passare senza soluzione di continuità dal pathos al sorriso, anche grazie alla riuscita interazione tra i protagonisti. Il suo difetto sta invece nell'insufficiente approfondimento psicologico dei caratteri principali, tratteggiati sommariamente e in maniera del tutto funzionale allo sviluppo della storia, ma senza che sia realmente possibile comprendere origini e motivazioni dei loro comportamenti. La stessa figura femminile che è il motore di tutto l'intreccio appare monodimensionale e si esce dal cinema insoddisfatti per il fatto di non essere riusciti a penetrare il suo mondo interiore. A questo si affianca una certa qual sovrabbondanza di temi e questioni che probabilmente avrebbero richiesto ben altro approfondimento: la solitudine e la rigidità della guardia giurata, la fragilità psicologica e le forme di ribellione del figlio quindicenne, l'intrecciarsi di amicizia e amore in un modo per certi versi incomprensibile, ma profondamente umano.

Insomma, un film che mette molta, forse troppa carne al fuoco, senza riuscire a spiegare la complessità dei sentimenti e delle relazioni, e che forse proprio per questo non può che virare verso quel sorriso liberatorio e autoassolvente su cui si aprono i titoli di coda.

Voto: 3/5

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