lunedì 8 settembre 2014

Pazza idea (Xenia)


In un mondo cinematografico e letterario in cui proliferano i romanzi di formazione, i coming of age di adolescenti che si affacciano all’età adulta affrontando prove che li fanno crescere, Pazza idea del greco Panos H. Koutras in qualche modo ci propone un racconto in controtendenza.

Dani (Kostas Nikouli) ha 16 anni ed è un ragazzo al contempo cresciuto troppo in fretta e rimasto ancora bambino. Da un lato non fa che succhiare lecca lecca portandosi dietro il suo coniglietto Dido, dall’altro vive liberamente la propria sessualità gay e porta con sé una pistola.

Dall’altro lato, suo fratello Odisseas (Nikos Gelia), che lui chiama Ody e che ha circa due anni in più, già lavora e vive per conto proprio ad Atene, cercando di sbarcare il lunario, ma forse ha perso la spensieratezza e la voglia di giocare che la sua età meriterebbe.

Dani parte in traghetto da Creta, dopo la morte della madre, per raggiungere il fratello ad Atene e convincerlo ad andare insieme a Salonicco con un duplice obiettivo: far partecipare Ody a un talent show per cantanti in cui dovrà cantare una canzone di Patti Pravo e ritrovare il loro padre che li ha abbandonati da piccoli per chiedergli di riconoscerli.

La loro sarà una piccola odissea nella quale i due fratelli, che partono da posizioni molto distanti, da un profondo senso di estraneità tra di loro e con il mondo che li circonda, ritroveranno la loro confidenza e quel patrimonio familiare che li accomuna e che la madre gli ha lasciato in eredità: le canzoni di Patti Pravo e di Raffaella Carrà, le coreografie, l’affetto di Tassos (Aggelos Papadimotriou).

La loro xenia (il loro essere stranieri: sono di nazionalità albanese anche se nati in Grecia) dovrà fare i conti con una società in disfacimento in cui l’accoglienza è in rovina, come l’albergo abbandonato dove i due fratelli trovano rifugio durante il viaggio.

Pazza idea mescola generi e toni diversi, ma mantiene dall’inizio alla fine quella capacità di sdrammatizzare anche i momenti più tragici, grazie alle fughe oniriche, ai siparietti musicali e al “sopra le righe” che lo caratterizzano. Il regista ha certamente imparato la lezione di Almodovar (e forse anche di Ozpetek) – che in qualche momento rivive sullo schermo in salsa greca – e cita il coniglio gigante di Donnie Darko, ma dimostra di essere interprete di un percorso cinematografico del tutto personale e originale.

Certo, in lingua originale sarebbe stato tutto un’altra cosa. E così il senso di continuità con le vacanze appena concluse (e che hanno avuto proprio Salonicco come tappa) sarebbe stato pieno!

Voto: 3,5/5

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