mercoledì 8 luglio 2015

Lacci / Domenico Starnone

Lacci / Domenico Starnone. Torino: Einaudi, 2015.

Vanda. Aldo. Lidia. Sandro e Anna.

I personaggi protagonisti dell'ultimo romanzo di Starnone, Lacci.

Un libro che parla della tensione, senza via d'uscita alcuna e che caratterizza irrimediabilmente le nostre vite umane, tra stabilità e novità, sicurezza e libertà. E dell'incessante flusso delle cose, di quello che siamo e di quanto ci si muove intorno, del continuo cambiamento, che è vita e anche morte, che è gioia e anche sofferenza, che è condizione intrinseca della natura umana, e dunque cercata e subìta al contempo.

Starnone decide di mettere in scena questa commedia umana attraverso tre "atti" (che lui chiama "libri"), in cui una vicenda tutto sommato semplice viene letta da tre punti di vista differenti, ma tutti interni alla stessa famiglia: quelli di Vanda, di Aldo, suo marito, e di Sandro e Anna, i figli. Punti di vista raccontati attraverso pennellate e frammenti di vita, non veri ritratti psicologici, cosicché è inevitabile una certa assenza di approfondimento che a tratti può risultare insoddisfacente, ma che è in qualche modo coerente con l'impianto del romanzo.

Nel primo atto leggiamo le lettere che Vanda ha mandato a suo marito nel periodo in cui quest'ultimo era andato via di casa per seguire un'altra donna, Lidia, molto più giovane di lui e della moglie. Leggiamo la sofferenza di Vanda, il suo rancore, le sue accuse, i ricatti affettivi, il tentativo di suicidio e ci chiediamo che razza di uomo è quello che ha provocato tutto ciò nell'indifferenza più totale verso la moglie e i figli.

Nel secondo atto, è Aldo a parlare in prima persona. Siamo all'oggi. Aldo e Vanda sono un'anziana coppia come tante altre, stanno insieme da 50 anni e stanno partendo per le vacanze estive. Alcuni episodi spiacevoli prima della partenza ci fanno capire che tra di loro c'è qualche tensione, però né più né meno che in altre coppie che stanno insieme da così tanto tempo. Poi, al rientro dalle vacanze la casa è completamente sottosopra come se ci fossero stati i ladri e il gatto Labes è sparito. Nel provare a rimettere in ordine il soggiorno, Aldo trova le lettere che sua moglie gli aveva scritto negli anni della separazione e così, su quella vicenda, ascoltiamo il punto di vista di Aldo, i suoi sentimenti, i suoi tormenti, e a poco a poco capiamo anche cosa è successo dopo e in che termini quella separazione sia stata superata.

Infine, nel terzo atto torniamo temporalmente un po' indietro rispetto al momento in cui Aldo e Vanda rientrano dalle vacanze. Siamo ancora in casa, ma questa volta ci sono Sandro e Anna, cui i genitori hanno chiesto di occuparsi della casa e del gatto durante la loro assenza. I due fratelli - adulti e con loro vite ormai autonome - non vanno d'accordo, ma nel ritrovarsi insieme nella casa di famiglia anche loro cominciano a confrontarsi con il passato, il rapporto con i genitori e la loro visione di quello che è accaduto tanti anni prima quando il loro padre è andato via di casa e dopo, quando è ritornato.

Ne viene fuori un ritratto familiare non veramente drammatico, anzi per molti versi casi venato di sottile ironia, nonché caratterizzato da quella disfunzionale normalità che la maggior parte di noi ha sperimentato nei propri contesti familiari. E forse proprio per questo se ne esce in certa misura disperati, o forse meglio dire rassegnati.

La constatazione che attraversa tutto il libro è che il tempo ci cambia e cambia le cose intorno a noi, e questa è la principale causa da un lato dei nostri entusiasmi e dall'altro del nostro senso di precarietà: «[...] cosa accade alle belle frasi che ci entrano nella testa, come ci muovono, come diventano prive di senso, o irriconoscibili o imbarazzanti o ridicole?» (p. 50)

Il caso e la curiosità ci mettono di fronte alla novità e in un attimo cambiano le proporzioni delle cose, le certezze si frantumano, dandoci da un lato un'iniezione di vitalità, dall'altro instillando rapidamente il terrore che anche quel cambiamento non sarà definitivo. Così si esprime Vanda: «Ero giovane, mi sentivo attratta, non sapevo quanto è casuale l'attrazione. Per anni non sono stata felice, ma nemmeno infelice. Ho capito tardi che mi incuriosivano gli altri né più né meno di quanto mi avevi incuriosito tu. Mi guardavo intorno disorientata. A ogni occasione - mi dicevo - potrei avere un amore: è come la pioggia, una goccia urta a caso contro un'altra goccia, si forma un rigagnolo. Basterebbe insistere nella curiosità iniziale, e la curiosità diventerebbe attrazione, l'attrazione crescerebbe fino a indurre al sesso, il sesso imporrebbe la ripetizione, la ripetizione fonderebbe una necessità e un'abitudine. Ma credevo di dover amare solo te per sempre e quindi guardavo da un'altra parte, stavo dietro ai capricci dei bambini. Che stupidaggine. Ammesso che io ti abbia mai amato - e oggi non ne sono sicura: l'amore è un contenitore dentro cui ficchiamo di tutto -, è durata poco.» (p. 105) E questo invece è Aldo che parla della sua relazione extraconiugale: «Mi resi conto tardi che non si trattava soltanto di uno scambio sessuale, di un tassello della battaglia contro il concetto stesso di adulterio, di una gioiosa amicizia erotica, di una delle tante pratiche liberanti che stavano rifondando il mondo. Amavo quella ragazza. L'amavo nella maniera più arretrata, vale a dire in modo assoluto. L'idea di allontanarmi da lei, di tornare da mia moglie e dai miei figli, di lasciarla ad altri, mi levava la voglia di vivere.» (p. 60)

Come si conciliano la gioia di vivere, l'energia e la forza che l'entusiasmo di un incontro produce con i legami stabili, le sicurezze, i sensi di colpa, le paure individuali? Per Aldo «Il tempo con Lidia era tempo gioioso, tempo leggero, non mi bastava mai. Mi sentivo carico di energie, scrivevo, pubblicavo, piacevo, come se la palude che mi portavo dietro dall'infanzia e che era durata fino a poco tempo prima fosse stata di colpo bonificata da quella giovane donna colorata ed elegante.» (p. 63) Dall'altro, «Quando ero con loro mi proteggevo mentendo, la bugia serviva a tutelare l'impressione straordinaria di salute che mi aveva invaso. In quei momenti mi sentivo umiliato sia dalla mia incapacità di essere vero, sia dalla verità insopportabile della disperazione di mia moglie, del disorientamento dei miei figli. Per essere come mi sentivo, per dire davvero perché mi stavo comportando a quel modo, avrei dovuto parlare della mia felicità con Lidia. Ma cosa ci sarebbe stato di più crudele?» (p. 64)

E dunque la crudeltà dell'indifferenza: «In una frazione di secondo Vanda mi lesse negli occhi quanta forza riuscivo a trarre dal quel mio benessere fuori di lei e capì di colpo che niente mi avrebbe trattenuto, nemmeno i bambini. Seppi per qualche attimo che ciò che le stavo facendo era particolarmente malvagio e corsi via per evitare di prenderne atto.» (p. 73) «Mi terrorizzò ma non mi coinvolse, il suo tormento non mi entrò mai nel petto come se fosse il mio. Ero in uno stato di ebbrezza che mi avvolgeva come una tuta ignifuga.» (p. 58)

Come non farsi travolgere dalla paura dell'infelicità, dal terrore che il ciclo naturale delle cose riporti tutto al punto di partenza? Come evitare di pensare che la felicità non sia un fatto di scelte ma un effimero regalo che ci capita o che ci sarà tolto quando non ce la meritiamo più? Lo stesso Aldo finisce per pensare questo in riferimento a Lidia: «L'amavo sempre di più e le attribuivo una finezza, un'intelligenza, una sensibilità che ero sempre meno sicuro di meritarmi.» (p. 77)

In definitiva, come si può credere all'amore, al suo potere, alla sua durata, alla sua capacità di superare gli ostacoli, se i cambiamenti ci rimettono continuamente in discussione? «C'è una distanza che conta più dei chilometri e forse degli anni luce, è la distanza dei cambiamenti. Mi allontanai da mia moglie e dai miei figli andando dietro a ciò che mi appassionava: la donna nuova che amavo e un alacre operare anch'esso nuovo, che in una successione all'apparenza inarrestabile sommò piccolo successo personale a piccolo successo personale.» (p. 74)

E cosa succede se decidiamo di fermarci? Aldo ammette che «Dalla crisi di tanti anni fa abbiamo imparato entrambi che per vivere insieme dobbiamo dirci molto meno di quanto ci taciamo.» (p. 90) E i suoi figli non possono fare a meno di percepire l'inevitabilità della sconfitta: «Nostra madre gli pareva la negazione del piacere di vivere, e anche noi, anche io e te. Non si sbagliava, eravamo proprio questo, la negazione, la negazione. Il suo torto vero è stato non riuscire a rifiutarci fino in fondo. Il suo torto è stato che una volta che hai agito in modo da ferire in profondità, in modo da uccidere o comunque sfregiare per sempre altri esseri umani, non devi fare passi indietro, ti devi assumere la responsabilità del crimine fino in fondo, un crimine non si commette a metà.» (p. 126)

Che cosa è in grado di superare il costante mutare delle cose oltre al desiderio e alla tensione stessa verso di esso?

Voto: 4/5

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