mercoledì 16 dicembre 2015

Dio esiste e vive a Bruxelles

Ea (Pili Groyne) è una ragazzina di dieci anni che vive in un appartamento di Bruxelles. Ma non è una ragazzina qualunque: è la figlia di Dio (Benoît Poelvoorde), uno che vive in ciabatte e vestaglia da notte, che tiranneggia moglie e figlia, e di tanto in tanto si chiude nel suo studio, con il suo computer, divertendosi a creare mondi e a definirne le leggi, come in un immenso videogiochi tridimensionale.

Un giorno Ea decide di scappare dalla casa in cui è tenuta rinchiusa, non prima però di aver inviato a tutti gli uomini un messaggio che rivela a ciascuno la propria data di morte, il più straordinario atto liberatorio per l’umanità di fronte alle tirannie inflitte e autoinflitte della vita.

Ea è intenzionata a cercare sei apostoli, le cui testimonianze costituiranno il “nuovo” Nuovo Testamento, che andrà ad aggiornare quello di suo fratello JC, portando il numero degli apostoli da 12 (come i giocatori di hockey, lo sport preferito del padre) a 18 (come quelli di baseball, sport preferito dalla madre).

Con l’aiuto del senzatetto Victor (Marco Lorenzini), Ea va alla ricerca dei suoi sei apostoli, uomini e donne che disvelano la propria esistenza infelice e il loro estremo tentativo, una volta conosciuta la data della propria morte, di ritrovare il senso perduto delle proprie esistenze.

Tanto la premessa del film, oltre ad essere estremamente efficace, è esilarante nella sua costruzione, quanto la seconda parte – quella che racconta le vite dei sei apostoli – appare certamente più convenzionale, non tanto per le scelte registiche (sempre virate tra l’onirico e il surreale) quanto per il messaggio che veicolano. I sei personaggi, Martine, Aurélie, Marc, François, Jean-Claude e Willy, sono altrettante espressioni delle schiavitù e delle infelicità umane: la solitudine, il sesso, il lavoro, la bellezza, la ricchezza, la diversità, l’incapacità di amare.

Quello di Jaco Van Dormael è una commedia e non sorprende che le storie individuali e quella generale dell’umanità siano destinate al lieto fine, un lieto fine a sua volta un po’ eccentrico quanto le premesse.

E fin qui potrebbe anche trattarsi dell’ennesima commedia ben fatta, condita di molto humour (belga!), ma destinata a non lasciare alcun tipo di traccia. Invece, a mio modesto parere, la rappresentazione del mondo e dell’umanità di Van Dormael è meno superficiale di quanto appaia a prima vista. Il regista belga sembra volerci dire che questo nostro mondo non è altro che il risultato di una serie di leggi e coincidenze più o meno casuali. E che, proprio per questo, le leggi - talvolta assurde e folli - che sembrano governare l’universo e la nostra vita non sono una verità assoluta e una necessità per nessuno di noi, bensì soltanto una convenzione o una possibilità, e che – in condizioni diverse e con coincidenze altre – il mondo intorno a noi potrebbe funzionare in modi differenti e altrettanto plausibili. In fondo chi l’ha detto che il cielo debba essere azzurro, e chi ha deciso che la gravidanza spetta alla donna, e chi ha stabilito che una donna non può amare un gorilla o che un bambino non può sentirsi una bambina?

Insomma, il film di Van Dormael sembra volerci ricordare in ogni istante che il nostro mondo e la nostra vita potrebbero (e forse possono) essere diversi se solo proviamo a pensare che non esistono leggi assolute, né regole universali, che nessuno può veramente decidere per noi, per la nostra felicità. Per questo non bisogna avere paura di andare in direzione contraria, non bisogna aver paura di fare scelte diverse, perché basta una piccola variazione anche inconsapevole nell’ingranaggio delle casualità dell’esistenza perché tutto prenda un’altra direzione e improvvisamente ciò che era diverso, anomalo, innaturale diventi assolutamente possibile e coerente.

Non è importante se c’è un dio egocentrico e annoiato, una dea naive o una somma di casualità all’origine del nostro mondo, il punto è che il mondo è andato così, ma avrebbe potuto e potrebbe andare diversamente, esattamente come la vita di ciascuno di noi. Un poetico, divertente e irriverente inno alla libertà individuale.

Voto: 3,5/5

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