lunedì 22 febbraio 2016

Cenerentola / Gioacchino Rossini. Teatro dell’Opera, 12 febbraio 2016

Il nome di Emma Dante alla regia di questa versione della Cenerentola mi convince a fare il secondo tentativo all’opera (dopo un classicone come la Tosca). In realtà arrivo a teatro senza sapere praticamente nulla di questa Cenerentola e la foga dell’ultim’ora mi catapulta nel mio palchetto laterale sinistro, senza aver avuto nemmeno il tempo di leggere la locandina. Durante il primo atto riconosco alcune sonorità e abitudini musicali di Rossini, ma non sono mica sicura che sia veramente così, considerata la mia scarsissima conoscenza di questo mondo; dunque, all’intervallo, chiedo conferma alle mie amiche (che sono in un altro palchetto).

Alla fine, però, questa mia insistita e profonda ignoranza, cui nemmeno ho cercato di porre rimedio prima di andare a teatro, è forse il motivo per cui mi lascio andare alla musica e mi godo lo spettacolo.

La Cenerentola musicata da Rossini è un’opera buffa il cui libretto è stato adattato in italiano da Jacopo Ferretti; il divertimento, la giocosità, i personaggi bizzarri, il tono favolistico, il lieto fine sono caratteristiche proprie di questo tipo di opera e certamente contribuiscono a rendere lo spettacolo più fruibile e godibile da parte del pubblico.

All’interno di questo universo espressivo, l’allestimento e la lettura dell’opera da parte di Emma Dante introducono elementi di modernità e di originalità che trasformano lo spettacolo quasi in un burlesque, non nel senso dello spettacolo lascivo che è diventato, bensì nel senso della commistione tra canti e danze, per i costumi (bellissimi: complimenti a Vanessa Sannino), per il carattere quasi parodistico di alcuni passaggi e personaggi. Emma Dante, nella bella intervista contenuta nel programma dell’opera (e che anche questa volta non manco di acquistare, anche in onore al mio amico E.), dice di essersi ispirata alla corrente del pop surrealism, che sinceramente non conoscevo e su cui mi sono andata a documentare.

La Cenerentola raccontata dalla regia di Emma Dante è una donna maltrattata e vessata dalla sua stessa famiglia (la scena del temporale è particolarmente forte): il padre e le due sorellastre, personaggi meschini e ignoranti, ma molto divertenti, magnificamente interpretati, e a cui va in buona parte ascritto il merito della gradevolezza di quest’opera.

Intorno ai personaggi principali (la stessa Cenerentola, il padre Don Magnifico, le sorellastre, il principe Don Ramiro, Dandini e Alidoro), si muove una schiera di personaggi il cui impatto visivo ed emotivo è particolarmente significativo. Si tratta da un lato delle serve che insieme a Cenerentola si occupano del palazzo di don Magnifico, dall’altro degli scudieri di Don Ramiro: tutti personaggi non solo con costumi buffi (quasi tutti virati sui colori dell’azzurro, del rosso e del bianco), ma con una carica a molla applicata sulla schiena (come in un carillon). Personaggi quindi quasi meccanici, non dotati di volontà propria e soprattutto di propria iniziativa, visto che per agire hanno bisogno che qualcuno gli dia la carica. Questi due gruppi di personaggi si mescolano poi a formare la schiera delle pretendenti del principe alla festa di palazzo, e uomini e donne - vestiti da spose - sfidano la concorrenza di Cenerentola uscendone delusi e sconfitti. Poi di nuovo si trasformano in serve e scudieri, questa volta a formare coppie che replicano all’infinito l’amore di Cenerentola e del suo principe.

Il tutto all’interno di una scenografia essenziale, che vede sullo sfondo la facciata di un grande palazzo (quello di Don Magnifico prima e quello di Don Ramiro poi), davanti al quale il cambiamento di ambientazione viene rappresentato utilizzando dei separé variamente arredati che isolano i personaggi dal contesto.

Il primo atto è un tripudio visivo e sonoro e, grazie anche all’effetto sorpresa delle scelte coraggiose di Emma Dante, mi conquista totalmente. Il secondo atto si fa più melodrammatico, lì dove i due personaggi principali convolano a nozze e il bene non solo trionfa sul male, ma scioglie il conflitto nel perdono. La regista, però, non si fa sfuggire l’occasione di trasformare questo finale un po’ troppo buonista in una lezione almeno parzialmente punitiva per i maltrattatori. Personalmente il secondo atto – pure molto più breve del primo – mi è risultato meno entusiasmante, dal che ho capito che forse l’opera buffa è più nelle mie corde, anche se mi riservo una valutazione dopo aver fatto ulteriori esperienze di questo mondo per me così nuovo.

(E il voto finale è – come sempre e ancor più – un voto alla mia esperienza soggettiva, più che al valore dello spettacolo, che con buona probabilità non sono in grado di giudicare).

Voto: 4/5

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