lunedì 2 maggio 2016

Il condominio dei cuori infranti

Un piccolo gioiellino francese, rovinato da un orribile titolo italiano. Perché chiunque - leggendo un titolo come Il condominio dei cuori infranti - pensa inevitabilmente a una commedia sentimentale un po’ banale, e invece quella di Samuel Benchetrit, pur essendo una commedia e pur trattando dei sentimenti, è qualcosa di molto diverso.

Il titolo originale Asphalte ha invece il merito di inquadrare il contesto nel quale questa storia viene raccontata. Siamo nella Francia settentrionale (ma lo capiamo solo dalla lingua in cui parlano le persone; anzi, a proposito, se potete, guardatelo in lingua originale), in una qualche periferia popolare dove non c’è niente, se non asfalto, case parzialmente diroccate, supermercati ed edifici industriali un po’ vetusti. In una di queste case si riunisce una specie di assemblea di condominio che decide di finanziare la sostituzione dell’ascensore ormai inaffidabile. Sono tutti d’accordo, tranne uno, il signor Sterkowitz (Gustave Kervern), che abita al primo piano e non ritiene che per lui abbia senso pagare. L’assemblea decide di esentarlo dal pagamento con l’accordo che  non usi mai l’ascensore. Ma l’egoismo di Sterkowitz sarà punito nel momento in cui, finito sulla sedia a rotelle, sarà costretto a usare l’ascensore di nascosto, e dunque solo in orari improbabili in cui nessuno nell’immobile lo utilizza.

È così che comincia questa commedia surreale, amarissima e tenerissima al contempo, che vede protagonisti sei personaggi, tutti irrimediabilmente e tristemente soli: lo stesso Sterkowitz, l’infermiera di notte (Valeria Bruni Tedeschi) ormai rassegnata sulla vita, l’adolescente annoiato (Jules Benchetrit) che praticamente non incrocia mai la madre con la quale vive, l’attrice in crisi (Isabelle Huppert) che si è trasferita da poco nel palazzo, la signora di origine algerina (Tassadit Mandi) che ha il figlio in carcere e passa le giornate a cucinare e a guardare Beautiful, l’astronauta americano (Michael Pitt) la cui navicella è caduta per sbaglio in Francia anziché negli Stati Uniti e deve aspettare che qualcuno dalla NASA lo venga a recuperare.

Questi sei personaggi, accomunati dal fatto di abitare o gravitare intorno allo stesso palazzo, si incontrano dando vita a tre storie parallele: Sterkowitz, alla ricerca notturna di cibo presso i distributori di snack dell’ospedale, incontra la triste infermiera che ogni notte alla stessa ora esce a fumare una sigaretta, e si finge un fotografo che ha girato il mondo; l’adolescente Charly entra in contatto con l’attrice Jeanne, con cui nella casa ancora piena di scatoloni guarda i film di quando lei era giovane, la signora Hamida dà ospitalità all’astronauta McKenzie e gli prepara il cous cous e altre prelibatezze mediorientali.

Nel sottofondo un suono un po’ inquietante che tutti loro sentono provenire dall'esterno e che ognuno interpreta a suo modo, ma di cui solo alla fine scopriremo l'origine.

Un film che nella sua leggerezza densa e profonda ci massaggia il cuore dal primo all’ultimo minuto. Un film che tratta questi personaggi tristi, soli, senza speranza, con una compassione e una tenerezza tali che alla fine vorresti abbracciarli tutti, e che ci dice che frammenti di felicità e sprazzi di umanità possono infiltrarsi più o meno casualmente anche nello squallore e nella desolazione, e che non esistono aridità e solitudine tanto grandi che non possano trovare almeno momentaneo conforto e consolazione.

Benchetrit sembra suggerirci che nessuno si salva da solo, o forse che non ci salviamo affatto, ma abbiamo tutti diritto e bisogno del nostro massaggio interiore, quello che – grazie alle risorse della nostra immaginazione e dei nostri sentimenti – è capace di trasformare anche i mondi più brutti e banali nella varietà e ricchezza dei mondi possibili.

Voto: 4/5


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