domenica 13 agosto 2017

Paradiso e inferno / Jón Kalman Stefánsson

Paradiso e inferno / Jón Kalman Stefánsson; trad. e nota biografica di Silvia Cosimini; postfazione di Emanuele Trevi. Milano: Iperborea, 2011.

Affascinata dall'Islanda e dalle bellissime edizioni di Iperborea, inizio la lettura di questo romanzo di Jón Kalman Stefánsson che è poi il primo di una trilogia che ha come fil rouge il villaggio islandese senza nome dove vivono i protagonisti.

Siamo in un'epoca indefinita, certamente non contemporanea (per quanto emerge da stili di vita e riferimenti contenuti nel libro), ma l'effetto è quasi di sospensione, come se in un posto come questo il tempo fosse immobile e "fuori dal tempo".

La storia è principalmente quella di un ragazzo, di cui pure non conosciamo il nome. Un orfano che vive uscendo in mare con un equipaggio che fa pesca di merluzzi, la principale attività di questi luoghi. E infatti la prima metà del libro è occupata dalla battuta di pesca durante la quale Bárđur, il migliore amico del ragazzo che ha lasciato la cerata sulla terraferma distratto dalla lettura del Paradiso perduto di Milton, muore assiderato senza che nessuno possa impedirlo.

Il ragazzo ne è devastato e vorrebbe morire anche lui, ma prima decide di intraprendere il cammino che lo porterà al Villaggio e in particolare alla locanda dove vive Kolbeinn, il vecchio cieco che ha prestato il libro a Bárđur.

Qui l'incontro con le due donne, Geirþruđur e Helga, che gestiscono la locanda costituirà per il ragazzo la speranza di un nuovo inizio.

A raccontare questa vicenda la voce collettiva dei pescatori che hanno fatto la storia del Villaggio.

In Paradiso e inferno di Kalman Stefánsson c'è qualcosa di epico: all'autore non interessa tenere il lettore incollato alle pagine con una trama avvicente, bensì scavare nei meandri nascosti dell'animo umano.

Una inestinguibile malinconia attraversa le pagine di questo libro, a tratti illuminate da piccole e grandi rivelazioni espresse sotto forma di parole e frasi intrise di tenerezza e commozione.

Ma forse questa è l'Islanda che vivida emerge dalle parole di Kalman Stefánsson, quasi da poterla respirare pur non avendola mai vissuta.

Voto: 3,5/5

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