venerdì 1 settembre 2017

Killing and dying = Morire in piedi / Adrian Tomine

Killing and dying / Adrian Tomine. Drawn & Quarterly, 2015.

Di Tomine, l'autore di fumetti americano di origine giapponese, avevo già letto Una lieve imperfezione, e lì avevo avuto un assaggio dello stile di questo autore, sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista narrativo.

Il suo ultimo lavoro, Killing and dying (Morire in piedi nella versione italiana pubblicata da Rizzoli Lizard), che ho letto in lingua originale (perché quando l'ho adocchiato la versione italiana non era ancora uscita) è una raccolta di sei storie brevi, pubblicate prima separatamente, come è nelle abitudini di Tomine. L'autore ha una vera e propria preferenza per i racconti brevi a fumetti e - vista la sua forte ascendenza letteraria - da questo punto di vista non può che essere associato ad autori quali Alice Munro e Raymond Carver.

E non a caso, come faccio fatica con i racconti letterari, così faccio fatica con quelli a fumetti. Forse sono un po' tarda io, nel senso che ho bisogno di uno spazio narrativo più ampio per trovare una mia collocazione nella storia e così, nel caso dei racconti o non vedo l'ora che arrivi l'ultima pagina, oppure arrivata all'ultima pagina vorrei che continuasse.

Quelli di Killing and dying sono racconti indipendenti l'uno dall'altro e l'autore lo sottolinea anche dal punto di vista delle scelte grafiche: gli stili di disegno, le scelte di bianco e nero o colore, la composizione della pagina e molto altro sono infatti appositamente selezionati per ciascun racconto e sono parte del contenuto che ci viene comunicato.

Si va così da uno stile quasi caricaturale, come nel primo racconto (A brief history of the art known as “Hortisculpture”), a uno dallo stile pop come Amber sweet, ad uno di ispirazione giapponese come Intruders (dedicato infatti al magaka Yoshihiro Tatsumi), a un racconto breve con poche vignette per tavola (Translated, from Japanese), all’eponimo a colori che è quasi una sequenza di sketch, alla storia Go Owls con le sue sfumature di seppia e la sua vicenda a tratti disturbante.

Le storie virano tutte tra il sarcastico e il malinconico e raccontano in buona parte della difficoltà dei rapporti umani, tra padre e figlia, tra partner, tra amici, in famiglia, e di quanto tutti noi possiamo essere strani e imprevedibili se guardati da vicino.

A me - come spesso accade con Tomine - ha messo una certa tristezza prima ancora che un senso di compassione per questa umanità non certo cattiva, ma indubbiamente spesso disorientata e confusa.

Il volume è stato celebrato come uno dei migliori libri a fumetti del 2015 e personalmente ne capisco il motivo e ne apprezzo le qualità (soprattutto la straordinaria versatilità del disegno e delle soluzioni grafiche), ma non riesco a mettermi sulla lunghezza d'onda emotiva di Tomine. E questo forse mi impedisce di apprezzarne la grandezza letteraria. Del resto, tutti i riferimenti letterari che vengono richiamati per i suoi fumetti, tra cui Franzen e Munro, sono autori di cui pur riconoscendo la grandezza non riesco a trovare il canale personale di connessione emotiva.

Insomma, tutto si tiene.

Voto: 2,5/5

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